Vivere l’appartenenza

Questo articolo è stato pubblicato originariamente su TGC Italia da Gian Paolo Aranzulla.

Chi non prova la sensazione di voler appartenere a qualcosa? Di voler far parte di una reale comunità di valori comuni e condivisi? Chi non vuole sentirsi unico, e allo stesso tempo non essere isolato, solo, emarginato e senza scopo? Chi non vuole essere rispettato per la persona che è, all’interno di una rete di rapporti sani, in cui l’individuo trova il suo significato essenzialmente nella dimensione collettiva. In termini biblici, chi non vorrebbe sapere di essere un tralcio fra tanti innestati nella vigna (Gv 15:5), una pietra vivente dentro la casa spirituale (1 Pt 2:5), una spiga di grano nel campo di Dio (1 Cor 3:9), una pecora singola all’interno di un gregge innumerevole (Gv 10:16), un fratello, una sorella di tanti fratelli (Ef 4:6), un membro mai sconnesso dal corpo intero (1 Cor 12:27)? Senza trascurare l’identità particolare di ciascuno, la visione biblica è rigorosamente collettiva. Essa invita a ritrovare in Cristo la nostra identità non solo confidando in Lui, ma vivendo un’appartenenza reale alla Sua Chiesa. Insomma, sottoporsi alla guida del Capo comporta attivarsi da membra del Suo corpo (1 Cor 12:12). 

In diverse chiese evangeliche, questo “senso di appartenenza” si esprime nel concetto di membership. È il caso della Chiesa Forte Torre, a Bologna. Di sicuro, fa bene ogni tanto rispolverare questi valori, che nel nostro contesto ecclesiale raggruppiamo attorno a cinque verbi. Si tratta di valori piuttosto evidenti, ma non per questo meno importanti. 

In primis, affermiamo che mantenere buone abitudini non equivale ad uno spirito legalista, bensì ad una dimostrazione di amore tangibile (quando si vivono le espressioni di vita comunitaria con giuste motivazioni). Per questo, preferiamo parlare di “espressioni concrete” di principi biblici, indicazioni tangibili di quell’impegno costante nei confronti di Cristo e della Sua Chiesa. Riporto qualche riga su ognuno.

  1. Seguire. “Facciamo attenzione gli uni agli altri per incitarci all’amore e alle buone opere, non abbandonando la nostra comune adunanza” (Ebrei 13:24-25). Fra le innumerevoli opzioni di distrazione e svago offerte ogni domenica (la tentazione di alzarsi tardi, riposarsi a casa, ritrovarsi con famiglia o amici, fare una gita fuori città, praticare sport), l’esortazione rivolta al popolo di Dio è quella di radunarsi, nel “nuovo Sabato” della risurrezione, per dedicarsi collettivamente alle lodi e all’ascolto di Dio. Consapevoli che l’abitudine settimanale di ritrovarsi la domenica è anche un aiuto e un monito reciproco nel cammino con Cristo, quindi, cerchiamo senza imbarazzo, di scongiurare il cristiano dal fare scelte di altro genere. Valorizzare la comune adunanza esprime amore sia per Dio, sia per i fratelli nella fede, sia per la propria salute spirituale (perché è troppo facile disabituarsi ai ritmi settimanali, e così non incitarci più all’amore e alle buone opere). 
  2. Supplicare. “Udito ciò, essi alzarono concordi la voce a Dio, e dissero: “Signore, Tu sei…”  (Atti 4:24). Il popolo di Dio è regolarmente spronato a pregare, non solo nella propria cameretta, ma come assemblea. Radunarsi insieme in quanto popolo di Dio, per supplicare il Creatore dei cieli e della terra, lottando (almeno dalla nostra prospettiva) per estendere il Suo Regno. Fu così per la Chiesa in Atti, dopo l’arresto di Pietro e Giovanni, e sarà sempre la storia della Chiesa, prima del ritorno di Cristo. Pertanto, nelle nostre comunità dobbiamo imparare a pregare, ad intercedere insieme, alzando la nostra voce collettiva ma sempre unita, fino al trono di grazia. È spaventosa la mancanza di preghiera collettiva in certi ambiti evangelici! C’è la impellente necessità che la chiesa pianifichi un suo programma di preghiera (oltre il tipico incontro mensile frequentato da pochi); data la responsabilità collettiva di supplicare l’Eterno insieme, prima di rallegrarci delle risposte ricevute insieme. Essere membro comporta unirsi agli altri membri in preghiera. 
  3. Sostenere. “Non mettere la museruola al bue che trebbia il grano” (1 Cor 9:9). La Chiesa è chiamata ad auto-sostenersi. Il Signore ha creato appositamente un’interdipendenza tra le membra del corpo, per portare avanti la vita ecclesiale sul piano economico. Un articolo precedente cerca di sviluppare il pensiero biblico sul donare.  Peraltro, vale la pena ricordare che il sostegno economico a favore delle guide ecclesiali esprime koinonia, ossia “comunione” nel Vangelo: comunione nell’opera di proclamare il Vangelo mediante la Chiesa locale. Inoltre, è vero che una dipendenza collettiva da guide molto limitate nel loro tempo libero (per la necessità di lavorare in altri ambiti), nonché dal sostegno “gratuito” di missionari stranieri, rischia di tenere la Chiesa italiana in uno stato di perenne precarietà. 
  4. Servire. “Avendo pertanto carismi differenti secondo la grazia che ci è stata concessa” (Rom 12:6). Il ministero pastorale, che nutre fedelmente la Chiesa di Dio con la Sua Parola esposta con incisività, susciterà di conseguenza l’emergere di nuovi carismi nella comunità, quali evidenze dell’operato dello Spirito Santo. La grazia di Cristo si manifesterà nel distribuire ai Suoi carismi differenti. Il che significa non necessariamente replicare attività sempre fatte, quanto incoraggiare lo sviluppo di nuove proposte ministeriali, in base ai doni distribuiti dallo Spirito, nutriti dalla Parola predicata. Essere membro si traduce nel proporsi, per svolgere servizi attuali e futuri. 
  5. Sopportare. “Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri” (Rom 13:8). In conclusione, bisogna vivere insieme con amore, con un amore tangibilmente fraterno, tra membra del corpo che talvolta faticano ad amarsi. In una famiglia spirituale intimamente legata, si verificheranno spesso errori, peccati, debiti. Servirà continuamente concedere perdono, camminare insieme umilmente, tenendo ben in vista il corpo intero. Tutto questo per dire che l’essere membro non si manifesterà in uno spirito che “seleziona” gli amici, che cerca solo la compagnia delle persone con cui ci si trova bene. È l’impegno invece di non cessare di amare, in forme reali e pratiche, ciascun membro del corpo. Il richiamo è quello di interessarci agli altri, pronti più ad ascoltare che non a parlare, pronti a essere propositivi verso coloro che sono diversi da me. Essere membro comporta sopportarsi, nel senso profondo di portare il peso gli uni degli altri, al fine di adempiere la legge di Cristo (Gal 6:1-2). 

Vivere l’appartenenza. Non è sempre facile. In effetti, nessuno sceglie i membri della propria famiglia, vero? Tuttavia, è una scelta profondamente appagante. La scelta di esercitare la mentalità di Cristo, “Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a sé stesso, cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi lo stesso sentimento (lett. phroneo, pensare, porre i propri pensieri, riflettere) che è stato anche in Cristo Gesù.” (Filippesi 2:4-5).

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