Cosa significa essere cristiani? A rifletterci bene, la maggior parte di noi si considera cristiana per il semplice fatto di aver ricevuto il battesimo da bambini. Qualcun altro si dice cristiano perché va a messa in alcune circostanze speciali, o perché ha più dimestichezza con le parabole di Gesù che con le otto vie del buddhismo. Talvolta, “cristiani” diventa semplicemente un sinonimo di “italiani”, o “europei”, o “occidentali”. Ma, in verità, cosa significa essere cristiani? Sembra legittimo chiederselo.
Una questione di appartenenza
Probabilmente, la risposta che questa domanda riceve più facilmente è che essere cristiani significa appartenere a un ambiente cristiano. Non è quasi mai necessario un cambiamento individuale, un “salto della fede”, come lo avrebbe chiamato Søren Kierkegaard. Essere cristiani significa nascere in una cultura cristiana. Per essere più precisi, mi pare che questo sia osservabile in Italia sia sul piano socio-politico, sia su quello religioso: Mario, per esempio, si dice cristiano in quanto il suo è un paese cristiano, ed è stato educato in una cultura cristiana, mentre Francesca è cristiana in quanto appartiene alla Chiesa. Certamente, “cristiano” è inteso in modo leggermente diverso da queste due persone. Mario non si sente obbligato a credere positivamente nell’esistenza di un dio personale, ma è d’accordo sul fatto che la morale comune si poggi su alcuni valori che chiamerebbe cristiani, poiché, tutto sommato, il cristianesimo è una buona religione; Francesca, d’altra parte, si sente maggiormente vincolata al mondo ecclesiastico, frequenta alcune messe durante l’anno, è una cattolica fervente o ha amici che lo sono. Ciononostante, entrambe le prospettive sono accomunate dal principio per cui essere cristiani è una questione di appartenenza, cioè significa appartenere a un ambiente cristiano.
Appartenere alla Chiesa (cattolica)
L’attuale papa, Jorge Bergoglio, ha in qualche modo risposto alla nostra domanda in un’udienza generale del 2014 durante la quale ha ribadito più volte che «nessuno diventa cristiano da sé», perché «il cristiano appartiene a un popolo che si chiama Chiesa e questa Chiesa lo fa cristiano, nel giorno del Battesimo, e poi nel percorso della catechesi». Il discorso è più lungo e merita attenzione nella sua interezza, ma già da queste poche parole emergono alcuni elementi interessanti.
Innanzitutto, non è il singolo a riconoscersi nella Chiesa, ma è la Chiesa a riconoscerlo come cristiano, dal momento che è questa a “farlo cristiano”, attraverso il rito battesimale e una serie di altri sacramenti. È la Chiesa a fare i cristiani, e non viceversa. In secondo luogo, la Chiesa fa questo attraverso i sacramenti. La Chiesa è mediatrice della grazia, come non a caso dice il pontefice poco più avanti, nel senso che distribuisce la “grazia salvifica”. Quando vengono battezzati i bambini appena nati, quando si va a fare la comunione, quando ci si confessa, non si sta solamente osservando un rito che dimostra che si crede in Dio, ma la Chiesa sta distribuendo la grazia che ha ricevuto da Dio1. Chi fa la comunione, sta ricevendo quella grazia, che si chiama salvifica perché salva dal giudizio finale. È attraverso queste distribuzioni di grazia che la Chiesa (cattolica) rende cristiani (cattolici), e quindi è così che si appartiene a questa Chiesa.
Fede “delegata”
E la fede? Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, quale sia il suo ruolo nell’essere cristiani. Si tratta solamente di presenziare regolarmente ai sacramenti? Non serve anche una vera fede personale? Non serve, cioè, anche la convinzione profonda che Gesù Cristo è il giusto Salvatore di tutti i peccatori che si affidano a lui? Certamente sì, i sacramenti presuppongono la fede. Eppure, non è la fede personale ciò che più conta: papa Francesco, quando deve definire un cristiano, sceglie di farlo prima di tutto attraverso chi lo circonda. E ci sono casi in cui un sacramento agisce senza la fede personale di chi lo riceve.
Il caso del Battesimo è significativo proprio a tal proposito. Un bambino con pochi giorni di vita non è certo in grado di confessare la propria fede cattolica. Ma il sacramento del battesimo gli trasmetterebbe ugualmente grazia salvifica. L’enciclica Lumen Fidei, incentrata sul tema della fede, affronta in parte il problema, e lo risolve, ancora una volta, ricorrendo all’idea di comunità:
Il bambino non è capace di un atto libero che accolga la fede, non può confessarla ancora da solo, e proprio per questo essa è confessata dai suoi genitori e dai padrini in suo nome. La fede è vissuta all’interno della comunità della Chiesa, è inserita in un “noi” comune. Così, il bambino può essere sostenuto da altri, dai suoi genitori e padrini, e può essere accolto nella loro fede, che è la fede della Chiesa […] 2
La fede è senza dubbio importante, ma non è sempre necessario che sia quella strettamente personale: ciò che conta è la fede della Chiesa, o, in altre parole, la fede degli altri. Dopotutto, lo abbiamo detto, essere cristiani significa appartenere alla Chiesa. Ma, alla fonte battesimale, essere cristiani significa semplicemente essere circondati da cristiani.
Fede “contagiosa”
Possedere una fede personale può facilmente passare in secondo piano finché ci si considera parte della grande Chiesa. A buon diritto Mario e Francesca possono dirsi cristiani, a prescindere dal tipo e dai contenuti della loro fede: ciò che conta è la fede della comunità in cui si riconoscono. È più importante ricordare a Mario e a Francesca che devono andare in chiesa (cattolica) e fare la comunione piuttosto che avvertirli che, senza una reale convinzione personale che Gesù Cristo è il Messia, il loro futuro eterno è in grave pericolo.
A ben guardare, sembra che si stia confondendo la fede con un virus molto contagioso. Come il Covid-19, trasmesso per contatto con persone contagiate, la fede cristiana sembra essere “trasmissibile” al solo contatto con altri credenti o con certi atti liturgici. La fede di altri cristiani fa da garante per quella dei bambini battezzandi, mentre i sacramenti, a loro volta, di per se stessi trasmettono la fede3. Ma le cose stanno così? La fede è “contagiosa”?
Una questione di vita o di morte
Il paradosso, in tutto quello che stiamo dicendo, è che si può essere cristiani senza essere cristiani. Si può passare per cristiani agli occhi della società o delle istituzioni religiose sfruttando alcune sfumature concettuali nella teologia cattolica, si può anche convincere se stessi di essere cristiani semplicemente confondendosi nella folla degli “altri”, a loro volta credenti nominali. Ma se (come un cristiano dovrebbe credere) alla fin fine l’opinione che conta è quella di Dio, pensiamo davvero che la sua perfetta capacità di giudizio possa essere offuscata da un paio di cavilli burocratici?
Un testo biblico a cui si fa spesso riferimento parlando di battesimo è nel Vangelo di Giovanni. Al capitolo 3, Nicodemo visita Gesù di notte, e Gesù gli rivolge queste parole:
3 «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio». 4 Gli disse Nicodemo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». 5 Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. (Vangelo di Giovanni 3:3-5)
La questione è di vita o di morte. Si tratta di entrare nel regno di Dio oppure no. Perciò, giustamente, dovremmo fare molta attenzione alle condizioni richieste da Gesù. E la condizione è chiara: bisogna rinascere, nascere di nuovo, cosa che è possibile solo se si nasce dallo Spirito. Molti di noi, leggendo l’espressione “nascere da acqua”, potrebbero pensare che ci sia un riferimento al battesimo; non ci dilunghiamo sulla questione4, ci basti dire che è molto rischioso lasciare che il nostro contesto odierno influenzi il modo in cui interpretiamo la Bibbia, quando invece la priorità va data al contesto storico-culturale originario. Per ora, limitiamoci ad osservare che per entrare nel regno di Dio bisogna rinascere per opera dello Spirito.
Fede rigenerante
Ma Gesù non ha finito di parlare di vita e di morte. Poco dopo, infatti, dice:
14 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». 16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.
Numeri 21:4-9 racconta di quando molti Israeliti morirono nel deserto a causa di serpenti velenosi, come punizione per il loro peccato; il rimedio stabilito da Dio era stato piuttosto curioso: Mosè si doveva costruire un serpente velenoso di rame, e quando un israelita fosse stato morso da un serpente, doveva guardare quel serpente, e così sarebbe rimasto in vita. Ora, Gesù paragona se stesso a quel serpente di rame e dice: tutti voi intorno a me state morendo, ma se guardate a me, se credete in me, rimarrete in vita. C’è una grande enfasi, nei versetti citati e in quelli che seguono, sulla fede. L’unica via di scampo dalla morte è la fede nel Figlio di Dio.
Salvezza dal giudizio
Forse cominciamo a vedere il collegamento? Per entrare nel regno di Dio, bisogna rinascere dallo Spirito. Per avere la vita eterna, bisogna credere nel Figlio di Dio. Rinascere dallo Spirito consiste nel credere che Gesù è l’unico in grado di salvare dal veleno letale che scorre nelle vene di tutti noi. Questa è l’unica condizione per entrare nella vita del regno eterno di Dio: credere personalmente in Gesù Cristo.
Qual è, allora, questo veleno che ci sta lentamente uccidendo? La cosa non può essere presa alla leggera. Se fossimo appena stati morsi da un cobra, non ci daremmo pace finché non avessimo preso un antidoto. E la nostra situazione non è molto diversa. Il veleno dei serpenti nel deserto era l’illustrazione di una realtà ben più preoccupante: il giusto giudizio di Dio.
17 Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 19 E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie.
La condanna su ogni essere umano esiste già. Mario e Francesca sono nati e vissuti senza credere nel Figlio, compiendo opere malvagie di nascosto, odiando la Luce che le potrebbe mettere in mostra, e per questo il giusto giudizio di Dio incombe su di loro. La soluzione non è mescolarsi nella folla di “cristiani”, e nemmeno rifugiarsi in azioni che li rendono cristiani a prescindere dalla loro fede personale. La soluzione, per loro e per noi singolarmente, è correre a rifugiarsi nell’unico che è venuto per salvarci: Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Poiché il giudizio è su ognuno di noi personalmente, anche la nostra fede deve essere una fede personale.
Appartenere a Cristo
Cosa significa essere cristiani? Appartenere semplicemente a un ambiente cristiano? E se invece significasse, prima di tutto, credere nella capacità di Gesù Cristo di salvarci perfettamente dal giusto giudizio di Dio? Ci siamo mai sentiti morsi dal veleno dell’ira di Dio? Abbiamo mai provato la sensazione di essere a un passo da morte certa, sotto il peso della giustizia immacolata di un Dio da cui non possiamo nasconderci? Che ne siamo consapevoli o meno, quell’ira c’è, quella condanna rimane. L’unica speranza per noi è correre da Gesù, e trovare salvezza in lui.
Le ultime parole di Giovanni alla fine dell’episodio sintetizzano la questione: «Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio incombe su di lui» (Giov 3:36). Nessuna Chiesa può salvare, semplicemente perché tutti i cristiani hanno avuto bisogno di guardare a Cristo e credere in lui per scampare il giudizio. Nessuna Chiesa ha ricevuto un deposito speciale di grazia da poter distribuire a chi vuole, perché c’è già chi fa questo: è Gesù Cristo a salvare dal giudizio, è lui che distribuisce la grazia agli uomini. Essere cristiani significa correre a lui e credere in lui. Essere cristiani significa appartenere a Cristo.
GN
1. Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano, 1992, pp. 326-330, consultabile sul sito ufficiale del Vaticano.
2. Lumen Fidei, 43. In questa enciclica, viene di gran lunga privilegiata la dimensione comunitaria della fede a discapito di quella individuale, si vedano i paragrafi 22, 37-41. Il testo integrale è consultabile qui.
3. «Il Popolo di Dio è un Popolo discepolo – perché riceve la fede – e missionario – perché trasmette la fede. E questo lo fa il Battesimo in noi. Ci dona la Grazia e trasmette la fede», Udienza generale del 15 gennaio 2014, testo consultabile qui.
4. Esistono molte interpretazioni di questo versetto, come si può immaginare. L’ipotesi più probabile, in ogni caso, è che Gesù stesse citando Ezechiele 36:25-27, dove appunto Dio promette di purificare Israele con acqua, di donare loro un cuore nuovo, e di mettere dentro di loro lo Spirito, per ristabilire dopo queste cose il suo regno sopra Israele. Sarebbe una coincidenza curiosa che Gesù, così dotto di tutte le Scritture, abbia citato tutti questi elementi in poche frasi solo per caso!